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Anni ’30, dall’art decò alla grafica


Carlo Aliverti - 10 Febbraio 2020 - 0 comments

“Ecco, a tarda mattina, arrivarci in casa la «T» e la V» incastrate una dentro l'altra della televisione che comincia a notificare i fatti della giornata: e il monogramma (come le «sigle» geometriche dei diversi programmi della Rai) l'ha disegnato lui, Erberto Carboni, verso il 1956. Più tardi «consumavamo» con lui i tanti ritagli fotografici di uova, mani, forchette, maccheroni o spaghetti della pasta Barilla. [...] Gli «emblemi» pubblicitari quando sono riusciti invitano a consumare, ma senza consumarsi essi stessi.”

da La Stampa, in memoria di Carboni, (1984)

Chi negli anni Ottanta c’era già ha ben presente le immagini richiamate in questo estratto: il logo Rai – la t e la v incastrata l’una nell’altra – , i manifesti pubblicitari Barilla e le non citate di Bertolli, Motta, Pavesi…
L’autore di molte pubblicità sedimentate nella memoria degli italiani è Erberto Carboni, nonché inventore di slogan immortali come “è sempre l’ora dei Pavesini”.
Carboni è stato uno dei primi a capire che la grafica è uno dei mezzi per creare l’identità di un brand. Intorno al ‘49 viene chiamato a ideare la comunicazione di una giovanissima Rai che abbia una sua coerenza interna e creando tutto da solo, dal logo, le sigle di apertura e chiusura del telegiornale alle installazioni espositive nei padiglioni, ne costruisce la brand identity.

In ambito pubblicitario, i manifesti Barilla degli anni ‘50 sono quelli più emblematici, in cui sono evidenti le sue metafore visive: il disegno stilizzato delle posate ci fa capire che la Barilla è una pasta pronta all’uso; la pioggia di maccheroni, spaghetti e farfalle suggerisce la ricca varietà dei formati di pasta e con la forma ovale del logo allude alla qualità della pasta che contiene ben “cinque uova per chilogrammo”.

Barilla era già innovativa di per sé, in quanto è stato il primo pastificio a vendere la pasta confezionata, e Carboni riesce a rendere il pack di carta ancora più originale sviluppandone il logo: inserisce la vecchia scritta “Barilla” in una forma ovale, forma che richiama la presenza delle uova nell’impasto del prodotto e, tranne qualche piccola modifica, il logo è rimasto praticamente invariato nel tempo, a dimostrare che Carboni non solo era all’avanguardia ma con la sua lungimiranza ha raggiunto anche i consumatori del futuro millennio.

La grafica minimalista e simmetrica di Carboni, contaminata dalla sua formazione professionale da architetto, oltre a creare l’identità del brand focalizza l’attenzione del consumatore sul prodotto. Questa oggi può sembrare un’ovvietà, ma la pubblicità prima di Carboni era spesso decorativa, fine a se stessa, elaborata al punto tale da distogliere l’attenzione dal soggetto principale, mentre Carboni decide di mettere veramente la grafica al servizio del prodotto da promuovere, superando definitivamente la pubblicità pittorica. Così la brillante Milano degli anni Trenta, già dominata dalla bauhaus e le altre avanguardie, si lascia alle spalle l’art decò.

Se Carboni rivoluziona la pubblicità passando dall’art decò alla grafica, Federico Seneca intraprende la strada del minimalismo, contaminato dalle idee di Depero e dal purismo.
Federico Seneca è uno dei più importanti cartellonisti italiani e mondiali, insieme a Erberto Carboni e Armando Testa.
Due sono i suoi tratti peculiari: l’essenzialità e la capacità di fare branding a tutto tondo.
Parlando del primo, prendiamo a esempio il manifesto della soda Cinzano del 1953: solo due gesti -un ovale e una linea curva – bastano a suggerire l’immagine di una persona che beve una soda e tiene nell’altra mano la piccola bottiglia.

Minimalismo non vuol dire immediatezza e velocità, al contrario, il processo di Seneca era lungo e laborioso: disegnava i suoi soggetti, poi ne faceva dei modelli prima in fil di ferro poi nella più pratica plastilina, li disponeva sotto una forte luce e solo allora disegnava la grafica definitiva. Ciò serviva a studiare e disegnare con precisione matematica i volumi, le luci e le ombre.
I suoi manifesti catalizzano la nostra attenzione nella loro singolarità, forse perché i soggetti sono senza tratti, perché sono sempre soli o ancora perché sono decontestualizzati e portati su uno sfondo a tinta unita.

La sua collaborazione più prolifica è stata quella con Perugina, durata ben dodici anni dal 1919 al 1932, e il lavoro più importante sicuramente quello del Bacio nel quale si manifesta la sua capacità di fare branding. Dei Baci già abbiamo già raccontato della loro origine e di come Seneca abbia fatto un manifesto ispirandosi al bacio di Hayez; sempre sua fu l’idea dei cartigli e dell’involucro argentato con le stelle blu che sembrano richiamare il cielo sotto cui si abbracciano i due amanti dell’illustrazione. Dunque aiutò Giovanni Buitoni a scegliere il nome del cioccolatino, ideò il manifesto, creò il packaging, inserì cartigli e sempre solo lui – come gli odierni copywriter – si occupò di scrivere anche i primi messaggi firmandosi Seneca , consapevole di confondere i consumatori per l’omonimia con l’autore latino. Gestì la campagna dei Baci in tutti i suoi aspetti, ricoprendo ruoli che all’epoca non esistevano e che oggi rappresentano i diversi ruoli in un’agenzia pubblicitaria.

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