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La Grande Dame de la Champagne


Carlo Aliverti - 9 Marzo 2020 - 0 comments

Quando Barbe Clicquot, nata Ponsardin, seppellisce il marito e va in vigna a ordinare che l’uva sia ugualmente raccolta e vendemmiata, ha solo 27 anni.

La vigna in questione è la Maison Clicquot della regione francese di Champagne-Ardenne, fondata da Philippe Clicquot, tramandata al figlio e poi lasciata alla vedova Barbe.
Barbe è giovane ma ha le idee molto chiare, sa quel che le era concesso fare, ma si spinge sempre oltre…
L’inizio della carriera di questa giovane imprenditrice, tra le prime della storia, inizia nel 1805, un anno dopo l’elezione di Napoleone come imperatore. Sono anni in cui le donne sono belle, madri, regine della casa ma non votano e non si occupano d’affari. Barbe, invece, è intelligente e determinata, prende il comando dell’azienda del marito e fin da subito firma i documenti ufficiali come Veuve Clicquot Ponsardin, nome con cui decide di firmare anche le etichette del suo vino.

Nel 1810 fa creare uno champagne con uve di una singola annata, da riportare poi sull’etichetta. Nasce il primo champagne millesimato della storia, il Veuve Clicquot 1810, che subito si afferma come prodotto d’eccellenza. Nello stesso periodo Barbe reagisce con noncuranza al blocco continentale che sta paralizzando il commercio europeo: lei ci prova, e riesce a consegnare una partita di champagne a San Pietroburgo, dove l’aristocrazia russa perde la testa per l’ultimo lusso francese. Ormai, per tutti i viticoltori e gli operatori del settore, lei è La Grande Dame de la Champagne.

Madame Barbe Clicquot non osa soltanto ordinando di continuare il lavoro in vigna subito dopo la morte del marito o forzando il blocco continentale: guardate una bottiglia di Veuve Clicquot.
Un’identità così forte è difficile da raggiungere. Nel nome c’è la parola “Vedova”, una scelta quantomeno azzardata. Poteva anche mettere solo il cognome, invece una parola tanto forte diventa uno dei caratteri distintivi del brand.
Poi c’è la sua firma: Veuve Clicquot Ponsardin, che stravolge il logo storico dell’azienda scelto da Philippe Clicquot in persona.
E, soprattutto, c’è l’etichetta arancione. Se oggi l’arancione va discretamente di moda, fino ai nostri anni ‘90 era il colore degli stradini, nonché uno dei colori no del packaging insieme al viola – che porta sfortuna.
E la nostra Barbe, nel 1877, in un’epoca in cui le etichette degli champagne sono perlopiù bianche o nere, pensa a un’etichetta arancione, differente da tutte le altre e quindi visibile e impossibile da dimenticare. Nel tempo questo colore diventa simbolo di champagne di alta gamma e con il passare degli anni, chi vuole un vino eccezionale cerca quello con l’etichetta arancione.

Cosa possiamo imparare dalla vedova Cliquot? Think different, be different.
Se tutti gli champagne hanno etichetta nera, bianca, bordeaux e verde, quando la fai arancione gridi personalità, identità, differenziazione. Così il packaging diventa unico e fortemente riconoscibile. Salta fuori dallo scaffale e fa sparire i concorrenti, che all’improvviso diventano banali e scontati, tutti uguali tra loro e che spesso combattono con la sola arma del prezzo.
È chiaro che se la signora Clicquot avesse fatto una ricerca di mercato o, peggio ancora, un focus group, nessuno le avrebbe risposto che il nome Vedova fosse il migliore  e che l’arancio fosse un colore adatto a uno champagne. E invece lei lo fece proprio arancione e nel giro di un secolo, l’arancio è diventato il colore dello champagne perfetto.
Successivamente lo fece anche registrare come colore del brand tanto che qualche anno fa fa una cantina italiana ha provato a vendere un vino spumante con l’etichetta arancione e, indovinate un po’, l’hanno dovuta cambiare in giallo in seguito a una battaglia legale durata molti anni. Dopo più di duecento anni, ancora una volta vittoria per la Dame de la Champagne.
Chapeau, Madame.

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