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Dall’Etiopia alla Giamaica: il lungo viaggio del caffè


Carlo Aliverti - 31 Gennaio 2020 - 0 comments

Perugia, 1922

"Il caffè giunge nello stomaco e tutto mette in movimento: Le idee avanzano come battaglioni di un grande esercito sul campo di battaglia".

Così scriveva Honoré de Balzac nella Parigi nell’800, ma le proprietà del caffè furono scoperte ben prima, in Etiopia, e poi nel vicino Yemen, dove nel ‘400 i monaci scrissero i primi testi che ne testimoniano le virtù.
Due secoli dopo i mercanti veneziani lo scoprirono nei mercati di Aleppo e lo portarono in patria, dove aprirono in piazza San Marco la prima caffetteria del mondo.
Mentre le caffetterie diventavano i luoghi d’incontro della nobiltà veneziana, i paesi europei iniziarono a portare il caffè nelle colonie americane. Le prime piante di caffè giunsero ai Caraibi nel ‘700 come dono del re di Francia alla Martinica il cui governatore, a sua volta, ne regalò una al collega giamaicano.

Il caffè sbarcò così in quella che Cristoforo Colombo definì “l’isola più bella che occhio umano abbia mai veduto”. Fu presto chiaro che il clima era ideale per la crescita del caffè, in particolare sulle alture delle Blue Mountain: una catena montuosa a nord di Kingston, il cui terreno lavico è ricco di nutrienti e la nebbia azzurra che circonda le vette protegge le piante dal sole cocente dei Caraibi, rallentando così la crescita dei chicchi. Grazie a questa lentezza si sviluppa una ricca varietà aromatica che va dal tabacco alla vaniglia e rende il caffè così dolce che si sconsiglia di zuccherarlo.

Sfruttando la manodopera degli schiavi africani, la Giamaica fu uno dei maggiori produttori di caffè per più di un secolo: quei chicchi pregiati attraversavano l’Oceano Atlantico negli stessi barili di legno usati per contenere il celebre rum. Ma con l’abolizione della schiavitù del 1838 le piantagioni vennero convertite in coltivazioni di autosussistenza e il terreno per le piante di caffè si ridusse a qualche migliaio di ettari. Si salvarono solo quelle sulle montagne e, per fortuna, erano proprio quelle delle Blue Mountain.
Oggi questo caffè è motivo d’orgoglio per tutti i giamaicani, al pari della lotta alla schiavitù, il rastafarianesimo, , il rum, le spiagge bianche e le piantagioni di marjuana.
La maggior parte della produzione è destinata al Giappone, che pur di ottenere questi pregiati chicchi che viaggiano ancora negli antichi barili del rum, paga cifre impensabili per gli altri mercati.

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